S. Domenico
Realizzata tra il 1264 e il 1280, tra tutte le chiese mendicanti di Orvieto è quella con la tipologia più innovativa. Originariamente, prima delle trasformazioni del ‘600 e la demolizione della navata avvenuta nel 1934, era una grandissima chiesa a sala: la navata principale coperta a tetto era affiancata da due strette navate laterali, separate dalla prima da pilastri, larghe appena m.2,10 e alte quanto la centrale. Il transetto, cioè l’unica porzione oggi superstite della chiesa medievale, presenta sul lato orientale un sistema di cinque cappelle coperte a crociera costolonata, la centrale delle quali di dimensioni maggiori e di larghezza pari a quella della navata. L’aspetto originario del S. Domenico suggeriva la presenza di un ordine religioso di grande potenza e importanza, sia per la spazialità espansa, sia per la preziosità dei numerosi monumenti sepolcrali di valenti esponenti dell’Ordine, che facevano della chiesa una sorta di Pantheon domenicano. Di questi sepolcri resta solo quello del cardinale Guglielmo De Braye, di Arnolfo di Cambio. La tipologia del sepolcro a parete, con arcosolio e figura del giacente, è qui contaminata con quella del ciborio a baldacchino: il risultato è una microarchitettura di proporzioni solenni con segni classici e moderni volti a creare una sintesi fra antico e gotico in uno stil novo. Al livello inferiore del presbiterio si colloca il complesso funerario ipogeo della famiglia Petrucci, opera dell’architetto veronese Michele Sanmicheli, realizzato tra il 1516 e il 1518. La cappella è costituita da tre vani, cui si accede mediante un sistema simmetrico di vestiboli e scale a doppia rampa. Le scale sfociano in un ambiente ottagonale che funge da camera sepolcrale e da questo, attraverso un vano intermedio rettangolare, si accede alla piccola cella ove è situato l’altare. Fondamentale è l’uso della policromia: al mattone ed all’intonaco si aggiungono il basalto nero dei timpani, delle mensole, dei capitelli e dell’architrave, e le varie colorazioni del pavimento originale in maiolica, opera di eccezionale complessità. Nel convento, di cui non restano più tracce, dimorò san Tommaso d’Aquino, frate domenicano: e fu qui che egli compose l'officio della solennità e della messa del Corpus et Sanguis Domini. Nella cappella a destra di quella dell’altar maggiore è conservato il crocifisso (probabilmente di un artista tedesco) che avrebbe detto a san Tommaso "Bene scripsisti de me, Thoma", proprio in riferimento a quell’officio; ed anche i resti lignei della cattedra da dove il santo, nello studium di quel convento, teneva le sue lezioni di teologia.